martedì 30 luglio 2013

Prima entusiasti dall’Evangelo, poi irreperibili


PRIMA ENTUSIASTI DALL’EVANGELO, POI IRREPERIBILI

Chi non ha fatto l’esperienza di persone, che improvvisamente mostrano un grande interesse per Dio, l’Evangelo, la fede e la sana dottrina? Ci ascoltano volentieri, restano toccati e sembra che la luce sia penetrata nei loro cuori. Poi, quando hanno capito che bisogna riconoscere Gesù quale personale e unico Salvatore e Signore, per essere salvati, improvvisamente chiudono i battenti e diventano irreperibili. Vorrebbero la salvezza, ma senza troppi impegni, anzi senza prendere la propria croce e seguire Gesù, il Signore. Gesù invece disse: «Chi non prende la sua croce e non viene dietro a me, non è degno di me» (Mt 10,38; cfr. 16,24).
     «Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti», disse Gesù (Mt 22,14). A molti piace ascoltare parole belle, che consolano e incoraggiano, ma confrontarsi con Dio, con la propria coscienza e cambiare... questo proprio non lo vogliono.
     ■ Alcuni fanno come Felice, che «mandò a chiamare Paolo, e l’ascoltò circa la fede in Cristo Gesù. Ma ragionando Paolo di giustizia, di autocontrollo e del giudizio a venire, Felice, tutto spaventato, replicò: “Per ora, vattene; e quando ne troverò l’opportunità, ti manderò a chiamare”» (At 24,24s).
     ■ Altri, che prima quasi ci assillavano con i loro problemi e per ricevere un consiglio, spariscono dalla circolazione e si rendono irreperibili, per non esporsi alla luce e per non dover confrontarsi con lo stato pietoso della propria vita. «E il giudizio è questo: che la luce è venuta nel mondo, e gli uomini hanno amato le tenebre più che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Poiché chiunque fa cose malvagie odia la luce e non viene alla luce, perché le sue opere non siano riprovate; ma chi mette in pratica la verità viene alla luce, affinché le opere sue siano manifestate, perché sono fatte in Dio» (Gv 3,19ss).

Come non pensare alla parabola del seminatore? (Mt 13,4ss). […]
     Il resto dello scritto si trova sul sito.
     [CONTINUA LA LETTURA: www.diakrisis.altervista.org/_Dot/T1-Entusiasti_irreperibili_OiG.htm ] Solo dopo aver letto l’intero scritto sul sito, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute? {Nicola Martella}



domenica 28 luglio 2013

Mestieri preclusi a chi predica?

MESTIERI PRECLUSI A CHI PREDICA?

1. ENTRIAMO IN TEMA: Chiaramente potremmo anche parlare di mestieri preclusi a tutti i cristiani biblici, ma limitiamo qui il tema a coloro, che hanno un ministero pubblico nelle chiese e in particolare portano in esse predicazioni e insegnamenti. In Italia, la stragrande maggioranza di coloro, che servono con la Parola nelle chiese, esercitano un mestiere secolare per sostenersi; è importante sapere, quindi, se esistono lavori compatibili o meno, eticamente degni o indegni rispetto alla chiamata e al ministero, che svolgono. Per capire di che cosa parliamo, bisogna partire dall’articolo «È lecito fare il deejay e il predicatore?» e specialmente ai contributi delle persone sotto menzionate nel tema di discussione connesso.
     Riporto la domanda, che ho posto in quest’ultimo ai miei interlocutori: Per chi è coinvolto nella predicazione e nei ministeri pubblici della chiesa (o «servizi sacri»), quali lavori secolari (o «mestieri profani») si può permettere di esercitare e quali no?
     Ricordo che in tali scritti il mestiere secolare al centro della discussione è quello di un credente impegnato nell’opera della chiesa locale (Rocco), che fa l’animatore e l’intrattenitore musicale in una sala da ballo, unitamente a due altri colleghi non-credenti, con cui forma un trio musicale.
     Alcune delle cose, che Giacomo combatteva nella sua epistola, erano l’ibridismo etico, la doppiezza morale e la dicotomia fra vita secolare e devozione, cose che rendono il credente «instabile in tutte le sue vie» (Gcm 1,8) e impuro (4,8). Inoltre, egli faceva notare: «Dalla medesima bocca procede benedizione e maledizione. Fratelli miei, non dev’essere così. La fonte getta essa dalla medesima apertura il dolce e l’amaro? Può, fratelli miei, un fico fare ulive, o una vite fichi? Neppure può una fonte salata dare acqua dolce» (3,10ss).
     Faccio inoltre presente che la qualità maggiore, che viene premessa per chi serve nella chiesa con un ministero pubblico, specialmente nella predicazione e nell’insegnamento, è essere irreprensibile, ossia al di sopra di ogni riprensione, per così essere credibile e un modello da imitare nelle parole, nei fatti, nella castità e in ogni cosa (1 Tm 4,12; 5,2).

Questa è l’introduzione. Sul sito sono presenti inoltre i seguenti punti: 2. Il dialogo fra i lettori; 3. Mie osservazioni e obiezioni.
            [CONTINUA LA LETTURA: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Mestieri_predica_Sh.htm ] Solo dopo aver letto l’intero scritto sul sito, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute? {Nicola Martella}




mercoledì 24 luglio 2013

Il Decalogo è prescrittivo o descrittivo per i cristiani? Parliamone

IL DECALOGO È PRESCRITTIVO O DESCRITTIVO PER I CRISTIANI? PARLIAMONE

Qui di seguito discutiamo l’articolo «Il Decalogo è prescrittivo o descrittivo per i cristiani?». Abbiamo visto che il NT non usa mezzi termini verso tutta la legge mosaica, ossia sia verso la sua base (Decalogo), sia verso le leggi derivate di qualsiasi specie: «Cristo è la fine della legge, in vista della giustificazione d’ognuno, che crede» (Romani 10,4). Sebbene la legge mosaica fosse nell’antico patto una fonte di verità e sapienza e una luce fra le tenebre, con l’avvento dell’eccellenza del nuovo patto e della «legge di Cristo» (1 Cor 9,21; Gal 6,2), essa è stata abrogata e dichiarata interamente «un’ombra dei futuri beni» (Eb 10,1). Entrando in vigore il nuovo ordinamento, che è permeato da una «migliore speranza», non solo il primo patto fu interamente abrogato, ma fu dichiarato oramai come debole e inutile; col senno del poi si convenne che «la legge non ha condotto nulla a compimento» (Eb 7,18s).
     La legge non portò salvezza, ma indicò tutt’al più solo la realtà del peccato, delle sanzioni e della morte. Perciò, fu chiamata «legge del peccato e della morte», da cui «la legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù» ha liberato i credenti del nuovo patto (Rm 8,2). Essi sono «divenuti morti alla legge mediante il corpo di Cristo» (Rm 7,4), ossia essa non è più ingiuntiva per loro. La legge mosaica diventò, perciò, un documento storico, da cui si possono trarre principi spirituali o lezioni morali, ma essa non è più obbligatoria nel nuovo patto. Solo ciò, che è espressamente menzionato nel NT, è ingiuntivo per il cristiano biblico.
     Come ci mostrano vari epistole del NT (Rm, Gal, Col, Eb), coloro che insegnano la necessità di ubbidire alla legge mosaica nel nuovo patto, giudaizzando così la fede, sono falsi maestri.

Sul sito seguono i contributi dei lettori e le mie eventuali osservazioni…
            [CONTINUA LA LETTURA: http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/T1-Decalog_pre-descritt_OiG.htm ] Solo dopo aver letto l’intero scritto sul sito, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute? {Nicola Martella}


martedì 23 luglio 2013

Investimenti di facciata?

INVESTIMENTI DI FACCIATA?




Un amico mi ha suggerito un’immagine, che poi ho formattata a modo mio. Su di essa appaiono due piccoli omini dinanzi a un colossale portale d’ingresso, dietro a cui non c’è la mega-villa da sogno, come ci si aspetterebbe. Al contrario, in lontananza si vede una catapecchia e un omino, che cura il suo orto. Uno dei due omini, che ammirano il trionfalistico portale, spiega all’altro: «La costruzione dell’entrata l’ha ridotto in bolletta!». Tale amico ha aggiunto a tale scena la seguente didascalia: «Costa voler apparire ad ogni costo!». La riflessione su tale immagine mi ha suggerito le segui considerazioni.
     Gesù disse alle folle: «Infatti chi è fra voi colui che, volendo edificare una torre, non si metta prima a sedere e calcoli la spesa per vedere se è in grado di poterla finire? Che talora, quando ne abbia posto il fondamento e non la possa finire, tutti quelli che la vedranno prendano a beffarsi di lui, dicendo: “Quest’uomo ha cominciato a edificare e non ha potuto finire!”» (Lc 14,28ss).
     Ho dovuto pensare che anche certi cristiani sono proprio così: vogliono apparire dinanzi agli altri, vogliono titoli religiosi altisonanti, che li distingua dagli altri, pretendono di avere gradi da generale, autorità, la cosiddetta «unzione», grandi carismi e potenza, e si vantano di grandi cose riguardo a ciò, che rappresenterebbero. Dietro alla facciata dell’apparenza sono spesso tutt’altro. Per sapere chi sono veramente, basta sperimentarli quando discutono accesamente con qualcuno o si trovano a gestire un conflitto.
     In tale contesto Gesù fece precedere tali versi illustrativi da questi altri: «Se uno viene a me e non odia suo padre, e sua madre, e la moglie, e i fratelli, e le sorelle, e finanche la sua propria vita, non può essere mio discepolo. E chi non porta la sua croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo» (Lc 14,12s). Il Messia Gesù pretese qui la priorità assoluta su tutto e tutti. Certi cristiani, pieni di sé e della loro presunta autorità e potenza, non vogliono la «croce» (l’abnegazione), ma applausi sui palchi e consensi sui pulpiti, per essere ammirati e osannati come qualcosa di eccezionale.
     Alcuni si appellano alla potenza dello Spirito, ma poi mostrano tutta la loro carnalità, mettendo fuori uso il «frutto dello Spirito», appena li si tocca in qualcosa, e diventano verbalmente violenti come belve fameliche. […]
     Di là dalle apparenze, l’albero si riconosce dai frutti. «Così, ogni albero buono fa frutti buoni; ma l’albero cattivo fa frutti cattivi. Un albero buono non può far frutti cattivi, né un albero cattivo far frutti buoni» (Mt 7,17s). Non basta, quindi, ciò che si mostra, ma ciò che c’è dietro la facciata. L’autorità spirituale del servitore del Signore non si mostra col misticismo, ma con la pratica del «frutto dello Spirito» (Gal 5,22s) e con l’essere irreprensibili (1 Tm 3,2.10; 5,7; 6,14 + immacolato; Tt 1,6s; 2 Pt 3,14), specialmente nella crisi e propriamente nel conflitto con altri, dove a ragione bisogna mostrare «nell’insegnamento integrità, dignità, linguaggio sano, irreprensibile» (Tt 2,8). […]

     Questi sono alcuni stralci, l’intero scritto si trova sul sito.
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lunedì 22 luglio 2013

Il Decalogo è prescrittivo o descrittivo per i cristiani?



IL DECALOGO È PRESCRITTIVO O DESCRITTIVO PER I CRISTIANI?

«Prescrittivo» è ciò, che è obbligatorio. «Descrittivo» è ciò, che si trova nell’AT, ma che non è obbligatorio nel nuovo patto; ma ciò posso trarre dei principi o delle lezioni, ma non commetto peccato, se faccio diversamente. Ad esempio, nell’antico patto era proibito mangiare carne di animali impuri (p.es. maiale, carnivori, crostacei, anguille, animali acquatici senza pinne, animali non ruminanti); nel nuovo patto ciò non è più ingiuntivo (Mc 7,19; At 10,13.15; 1 Cor 10,25.27), ma descrittivo, ossia posso cercare di capire le ragioni all’interno dell’antico patto e il perché del mutamento nel nuovo patto e, caso mai fosse possibile, posso trarre da tutto ciò principi e lezioni generali di natura spirituale. […]
     Il Decalogo era la Costituzione di un popolo, Israele, a base delle altre leggi (legge del patto, leggi derivate, leggi civili e religiose, morali e cerimoniali). Nel nuovo patto abbiamo la «legge di Cristo»; essa supera in eccellenza la legge mosaica e reca ciò, che la prima non poteva mai suggellare veramente, poiché «la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1,17). La rivelazione dell’antico patto era parziale; solo l’unigenito Figlio, che sta a tu per tu col Padre, è colui, che ha fatto conoscere veramente Dio (v. 18). Inoltre, i credenti del nuovo patto sono «divenuti morti alla legge mediante il corpo di Cristo» (Rm 7,4), ossia la legge mosaica non li riguarda più; chi vuole raggiungere la perfezione con la legge mosaica, invalida la morte di Cristo (cfr. Gal 2,21).
     Solo la «legge di Cristo» (1 Cor 9,21; Gal 6,2) è ingiuntiva per noi, membri del nuovo patto. Infatti, «la legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù mi ha liberato dalla legge del peccato e della morte» (Rm 8,2), ossia dalla legge mosaica, che condanna. […]
     Come scrisse un Ebreo ad altri Ebrei, che si erano accostati alla fede in Gesù quale Messia promesso, la legge era solo «un’ombra dei futuri beni» (Eb 10,1) e che in Cristo «v’è bensì l’abrogazione del comandamento precedente a motivo della sua debolezza e inutilità (poiché la legge non ha condotto nulla a compimento), ma v’è altresì l’introduzione d’una migliore speranza, mediante la quale ci accostiamo a Dio» (Eb 7,18s).

     Qui abbiamo riportato solo alcuni brani dello scritto, il resto segue sul sito
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giovedì 18 luglio 2013

Conduttori e figli dissoluti o insubordinati? Parliamone

CONDUTTORI E FIGLI DISSOLUTI O INSUBORDINATI? PARLIAMONE

Qui di seguito discutiamo l’articolo «Conduttori e figli dissoluti o insubordinati». Preoccuparsi della qualità dei conduttori delle chiese è importante; specialmente da loro dipende la qualità delle chiese. Se un credente non sa dirigere casa sua in senso spirituale e morale, difficilmente saprà farlo nella chiesa locale. Se qualcuno, per fare il conduttore di chiesa, trascura casa propria, si crea una specie di schizofrenia spirituale e morale fra casa e chiesa.
     La domanda, che un lettore ci ha posto, è stata la seguente: Se i figli sono dissoluti o insubordinati, fino a che età un credente è responsabile per ciò che fanno? È stato salutare constatate che 1 Timoteo 3 e Tito 1 non si tratta di «figli emancipati» (gr. huiói), ma di «figli generati» (gr. tékna). Abbiamo mostrato tale differenza col diritto romano. Abbiamo anche detto riguardo alla conduzione che la menzione della «casa» suggerisce che un padre sia responsabile dei figli, fintantoché essi sono minorenni o vivono sotto il tetto paterno.
     Abbiamo anche considerato che, se un uomo ha la maggior parte dei figli increduli, se non addirittura tutti dissoluti o insubordinati, sebbene siano maggiorenni, egli dovrebbe riflettere, per motivi di opportunità, se il suo compito sia proprio quello di conduttore di chiesa; infatti, predicare o consigliare agli altri ciò, in cui si è stati personalmente un fallimento, fa mancare della necessaria credibilità.
     Per essere conduttore non bastano la brama di esserlo né le buone intenzioni, ma bisogna corrispondere ai prerequisiti di 1 Timoteo 3 e di Tito 1 ed essere irreprensibili, ossia a di sopra d’ogni sospetto e reprensione. Sebbene nessuno abbia la garanzia che i suoi figli seguiranno la via della fede, un ampio fallimento come padre è sempre un cattivo indizio e una base lacunosa per esercitare la funzione di conduttore di chiesa.

     Sul sito seguono i contributi dei lettori e le mie eventuali osservazioni…
            [CONTINUA LA LETTURA: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Condutt_figli_dissolut_Mds.htm ] Solo dopo aver letto l’intero scritto, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute? {Nicola Martella}



martedì 16 luglio 2013

Tacere eloquente

TACERE ELOQUENTE

I motivi, per cui si tace, sono tanti e hanno varia causa. Si tace, secondo i casi, per motivi positivi o negativi, ad esempio: per rifiuto, per delusione, perché si è seccati dalle tante parole altrui, perché feriti nell’amor proprio o nella dignità, perché oramai le parole sono inutili, per lutto, per auto-commiserazione, per disperazione, per non ferire, per pudore, per timore di conseguenze, per vergogna dinanzi ad altri, per non svelare un segreto, per non tradire, per codardia e così via. […]
     Un silenzio non si può smentire né confutare. Per capirne il senso, ci vuole una grande capacità interpretativa. Gente distratta o insensibile non comprende le parole né i silenzi, né i gesti o la mimica, che li accompagnano. […]
     Tacere può essere eloquente, e il silenzio può lasciare una eco rimbombante nella mente altrui.
     C’è il tempo per tacere e quello per parlare. Infatti, anche il silenzio può rendere colpevoli. Oppure, il ravvedimento può nascere, tacendo dinanzi a Dio e aspettando che sia Lui a parlare alla coscienza. Ci sono tempi di decadenza spirituale e morale, in cui chi annuncia la verità viene evitato o messo a tacere. Inoltre, ci sono persone, che non vogliono veramente ascoltare la verità, ma solo trovare una conferma al proprio pregiudizio e un pretesto per accusare e colpire la persona dabbene. Il discernimento sta nel sapere quando tacere e quando parlare.

     Il resto dello scritto si trova sul sito.
     [CONTINUA LA LETTURA: www.diakrisis.altervista.org/_Cres/T1-Tace_eloquent_Mds.htm ] Solo dopo aver letto l’intero scritto, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute? {Nicola Martella}




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lunedì 8 luglio 2013

Non strumentalizzare Dio in senso miracolistico

NON STRUMENTALIZZARE DIO IN SENSO MIRACOLISTICO
 


In un gruppo, dove sono iscritto, qualcuno ha inserito un’immagine di un altro autore, per illustrare il suo ragionamento, su cui è scritto: «Le cose impossibili agli uomini, sono possibili a Dio» (Lc 18,27). L’autore di tali immagini le inserisce normalmente senza aggiungere altro. Non so che cosa intendeva esprimere con tale verso.
     Come non essere d’accordo con un tale verso? È vero, come disse Gesù in tale verso, Dio ha altre possibilità rispetto alle attese umane. Ognuno di noi sperimenta che, quando siamo arrivati ai nostri limiti, Dio può andare ben oltre e «fare smisuratamente di là da quanto chiediamo o pensiamo» (Ef 3,20).
     Allora, dove sta il problema? Il verso sull’immagine (Lc 18,27), tolto dal suo contesto naturale, se assolutizzato, come si fa qui, ossia senza riferirsi al suo contesto, diventa spesso strumentale a una dottrina delle guarigioni senza se e senza ma. Tuttavia, se si guarda il contesto, ci si renderà conto che esso non riguarda un «prodigio» (miracolo, guarigione, segno), che si possa richiedere a Dio, ma la salvezza dei ricchi.
     Gesù aveva asserito: «È più facile a una gomena passare per la cruna d’un ago, che a un ricco entrare nel regno di Dio» (v. 25). Al che gli astanti reagirono con meraviglia, dicendo: «Chi dunque può essere salvato?» (v. 26). Poi seguì tale asserzione di Gesù.
     Purtroppo tale verso viene citato spesso a sproposito, per rendere Dio un «distributore di miracoli» o un «pozzo dei desideri», secondo l’arbitrio dell’uomo. Alcuni insegnano che si possa obbligare l’Onnipotente a fare miracoli, organizzando particolari riunioni di preghiera, meeting di guarigione o invitando un particolare «unto». Questo è tanto vero che sulla pubblicità di certe conferenze si invita strumentalmente la gente con queste parole: «Vieni a prendere il tuo miracolo!». Come possono degli uomini usare l’arroganza di promettere ad altri uomini ciò, che sta solo nell’arbitrio di Dio, come se l’Onnipotente possa essere assoggettato alla coercizione umana!? Tutto ciò rasenta il «pensiero magico» dell’esoterismo, che insegna che si possa esercitare potere sulle «entità» e addirittura su Dio.
     Voglio ricordare che è vero che Dio può operare più di quello, che gli chiediamo; a volte opera anche senza che gli chiediamo alcunché, quando ci protegge da accidenti e da incidenti improvvisi. Il Dio della Bibbia è l’Onnipotente e, come tale, è libero dalle coercizioni umane. Tuttavia, alle nostre richieste può rispondere anche di no, che la sua grazia ci basta (2 Cor 12,9), che non è ancora il tempo e così via. Addirittura può, al momento, impedire di evangelizzare (!) una certa zona. Paolo e la sua squadra missionaria erano «giunti sui confini della Misia, tentarono d’andare in Bitinia; ma lo Spirito di Gesù non lo permise loro» (At 16,7).
     Infine, faccio notare che l’esegesi contestuale è l’unica medicina per le deviazioni dogmatiche e le esagerazioni dottrinali. Ricordo qui ancora una volta la massima, che ripetevo ai miei studenti alla scuola biblica: «Un testo senza contesto è un pretesto, che io contesto»!

     Sul sito possono seguire i contributi dei lettori e le mie eventuali osservazioni…
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venerdì 5 luglio 2013

Quanta pace ti puoi permettere oggi?

 QUANTA PACE TI PUOI PERMETTERE OGGI?

Mi è capitato di rileggere questo verso: «Cristo è la nostra pace» (Ef 2,14). Come figli di Dio dobbiamo rapportare tutto a Cristo, anche i nostri problemi e chiederci: «Che cosa ha a che fare tutto ciò con Cristo?». Ciò relativizza il problema stesso, permette di guardare alla sua soluzione e c’induce anche a cambiare qualcosa nella nostra vita in relazione al Signore.
            La prossima domanda è la seguente: «Che cosa devo cambiare nella mia vita riguardo al problema, che ho ora, per piacere a Cristo?». In ciò dobbiamo prendere il punto di vista del Signore sul problema; allora vediamo che esso può improvvisamente apparirci del tutto diverso rispetto alle nostre valutazioni precedenti.
            E se siamo disposti allora a ubbidire a Cristo, nonostante tutto e tutti, allora vediamo che il pesante problema diventa spesso come nebbia, che svanisce al sole. Fatto ciò, che il Signore ci chiede, ossia prendendo il giogo di Cristo sopra di noi (Mt 11,28ss) in tale specifica situazione, sentiamo pace e riposo, nonostante i problemi. Detto in modo differente, ciò è quello, che affermò l’apostolo Paolo: «Il Signore è vicino. Non siate con ansietà solleciti di cosa alcuna; ma in ogni cosa siano le vostre richieste rese note a Dio in preghiera e supplica con ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù» (Fil 4,6s). Quindi...

     Il resto dello scritto si trova sul sito.
     [CONTINUA LA LETTURA: www.diakrisis.altervista.org/_Disc/T1-Pace_oggi_Lv.htm ] Solo dopo aver letto l’intero scritto, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute? {Nicola Martella}




giovedì 4 luglio 2013

Antropologia sotto verifica

ANTROPOLOGIA SOTTO VERIFICA

1. ENTRIAMO IN TEMA: Dovendo approvare uno scritto in un gruppo, che gestisco, in Internet, l’ho letto. Di per sé tale scritto di Franco D’Antoni ricalcava le (più o meno) «quattro leggi spirituali». Egli, partendo dal senso della vita, parlò brevemente di questi aspetti, come fossero una piccola dogmatica: 1. Il piano di Dio; 2. L’uomo; 3. La caduta dell’uomo; 4. Cristo compì la redenzione; 5. La nuova nascita dell’uomo.
     Riguardo all’uomo, scriveva quanto segue: «Per eseguire questo suo piano, Dio creò l’uomo come un vaso in tre parti: il corpo, l’anima e lo spirito (1 Tessalonicesi 5,23). Il corpo è in relazione con il mondo materiale e accoglie ciò che è materiale. L’anima con le sua facoltà intellettuali è in contatto col mondo psichico e accoglie cose nell’ambito psichico. Lo spirito dell’uomo, la sua parte intima, celata, fu creata da Dio, perché l’uomo vi accogliesse Dio stesso e con Lui avesse famigliarità e lo adorasse (Giovanni 4,24). In sostanza l’uomo fu creato da Dio allo scopo di accogliere Dio col suo spirito e di essere con lui in relazione (Efesini 5,18)». {20-06-2013} Ed è di questo che vogliamo parlare qui di seguito, mostrando dapprima la discussione così come si è sviluppata.
     Mi aveva colpito che lui parlasse di «tre parti» dell’essere, ma poi descrivesse tre funzioni. Non si comprendeva neppure perché l’uomo dovesse accogliere «Dio stesso» solo col suo spirito e non con tutto il suo essere, come se l’essere umano potesse mai agire a compartimenti stagni e non nella sua interezza di essere fisico-spirituale, quindi con i suoi sensi, il suo intelletto e i suoi sentimenti.

2. ANALISI DELLE ASSERZIONI: Si fa sempre bene a ricordare le «quattro leggi spirituali» e a comunicare l’Evangelo. Faccio qualche osservazione:
     ● Si afferma nel punto 1: «Dio creò l’uomo come un vaso in tre parti: il corpo, l’anima e lo spirito». Tuttavia in Genesi 2,7 si parla di solo due «sostanze» (corpo e alito), da cui poi l’uomo divenne «un’anima vivente», ossia un essere vivente, quindi una «persona».
[…]
     ● Si afferma nel punto 4: «Allorché Cristo risorse dalla morte, divenne Spirito che dà la vita». E ancora: «Cristo... è diventato Spirito vivificante». Tuttavia, una tale opinione non si trova nella Bibbia. Mentre Adamo era una «anima vivente», ossia una persona necessaria di sostegno per vivere, di Cristo è scritto che «l’ultimo Adamo, è spirito vivificante» (1 Cor 15,45), ossia un essere spirituale, che trasmette vita. Il verbo essere (presente continuo) mostra che ciò non è avvenuto alla risurrezione in poi, ma lo è almeno dall’incarnazione in poi, se non da sempre. Infatti, è scritto del «Logos», quale «Dio presso Dio» prima dell’incarnazione: «In lui era la vita; e la vita era la luce degli uomini» (Gv 1,4).

3. LA DISCUSSIONE: Facciamo sempre bene a verificare fino in fondo le cose, che scriviamo, come i Bereani, «esaminando tutti i giorni le Scritture, per vedere se le cose stavano così» (At 17,11). Ringrazio i miei interlocutori, che mi hanno dato qui l’occasione di approfondire con loro il tema dell’antropologia biblica, sebbene io l’abbia affrontata sistematicamente già nelle mie opere pubblicate e in rete. Fa sempre bene sforzarsi a rispondere a nuovo alle obiezioni altrui. […]

Qui abbiamo riportato solo alcuni brani dello scritto, il resto segue sul sito.
            [CONTINUA LA LETTURA: http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/A1-Antropol_verific_MT_AT.htm ] Solo dopo aver letto l’intero scritto, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute? {Nicola Martella}


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lunedì 1 luglio 2013

Che cos’è un «cristiano»?

CHE COS’È UN «CRISTIANO»?

Quando ero ragazzo, nel dialetto della mia zona d’origine, dire «cristiano» o dire «persona» (essere umano, ecc.) era la stessa cosa. Si diceva, ad esempio: «Là c’erano dieci cristiani»; «Nell’incidente sono morti tre cristiani (= anime, persone)»; «Parliamo da cristiani (= da persone perbene) e non da selvaggi»; «Tu non sei un cristiano (essere umano), ma un animale»; e così via.
     Nel NT il termine «cristiano» fu usato per la prima volta ad Antiochia dai pagani per designare coloro, che avevano a che fare con Cristo, quindi i seguaci di Cristo. È scritto: «E fu in Antiochia che per la prima volta i discepoli furono chiamati “Cristiani”» (gr. christianoí; At 11,26).
     Ma che significa «Cristo»? Il termine greco christós intende «unto, che ha ricevuto l’unzione». Esso ricalca il termine ebraico māšîach «unto», che è stato italianizzato come «Messia». […] Gesù venne al mondo per essere proprio il «Messia», l’Unto Re.
     Per «cristiano» non s’intende, quindi, chi è cristianizzato, ha simpatie per il cristianesimo, ha idee cristianizzate, assiste ogni tanto a cerimonie cristianizzate o fa parte di una cosiddetta «confessione cristiana». […]
     In senso stretto, per «cristiano» s’intende, invece, solo i seguaci di Cristo, che vivono secondo il suo stretto insegnamento e ubbidiscono alla sua parola. Per questo, «cristiano» non si nasce, ma si diventa mediante una decisione della volontà (cfr. At 26,28). […]
     Per questo, essere «cristiano» è un motivo d’onore in tutte le situazioni della vita (1 Pt 4,16).

     Questa è una sintesi, l’intero scritto si trova sul sito.
     [CONTINUA LA LETTURA: www.diakrisis.altervista.org/_Dot/T1-Cristiano_EdF.htm ] Solo dopo aver letto l’intero scritto, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute? {Nicola Martella}



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