domenica 29 settembre 2013

Sedicenti maestri dottrinalmente sgrammaticati



SEDICENTI MAESTRI DOTTRINALMENTE SGRAMMATICATI




«Il diavolo sta nel detalio», recita un proverbio popolare; ma forse molti di voi non si sono neppure accorti dell’errore in esso.
     Chi di voi manderebbe suo figlio a lezioni di ripetizioni d’italiano da chi scrive nella sua pubblicità «squole elementari e medie»?
     Eppure, attraverso Internet si stanno moltiplicando presunti «esperti» della Parola di Dio, che si atteggiano come «dottori della legge», pur non sapendo nulla di certo sulla dottrina e sull’etica biblica. Spesso non frequentano nessuna chiesa locale, ma nei social network la fanno da maestri.
     E qual è il metodo preferito per argomentare con la propria «scienza teologica»? Fanno ricorso specialmente alla indebita versettologia: lunghe liste di versi, tolti qui e là dal loro contesto e assemblati insieme a proprio arbitrio. Poi, se non fosse sufficiente, si fa ricorso all’allegoria, con cui si spiritualizza tali versetti, usandoli come «gomma elastica», allungando o accorciando il significato delle espressioni a proprio piacimento. Si fa uso, oltre a ciò, del falso sillogismo: da verità, mezze verità e cose presunte si traggono conclusioni, che sono solo apparentemente vere, ma che crollano come un castello di carte, appena si fa una verifica scritturale e razionale. E se ciò non bastasse, c’è sempre spazio per le proprie vedute speculative, che fanno dire alla sacra Scrittura ciò, che si vuole.
     È meglio prendere le distanze dagli autonominati «dottorini della leggina», specialmente se sono dei «senza chiesa» e sanno argomentare solo col metodo del «taglia e incolla», chiaramente senza citare le fonti.

Ecco, invece, alcune raccomandazioni della Parola di Dio:
            ■ «Non aggiungerete nulla a ciò, che io vi comando, e non ne toglierete nulla, ma osserverete i comandamenti dell'Eterno, vostro Dio, che io vi prescrivo» (Dt 4,2; 12,32). «Non aggiungere nulla alle sue parole, perché egli non ti rimproveri e tu sia trovato bugiardo» (Pr 30,6; cfr. Ap 22,18s).

Il resto dello scritto si trova sul sito.
     [CONTINUA LA LETTURA: www.diakrisis.altervista.org/_Dot/T1-Maestri_sgrammatic_EdF.htm] Solo dopo aver letto l’intero scritto sul sito, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute? ATTENZIONE: Quanto scritto sulle bacheche o nei gruppi gestiti da Nicola Martella o inviato per e-mail, può diventare oggetto di un nuovo tema di discussione o un contributo sul sito «Fede controcorrente» e su altri associati ad esso.

venerdì 27 settembre 2013

Che cos’è il perdono divino?



CHE COS’È IL PERDONO DIVINO?

Un lettore mi ha scritto quanto segue: Nella nostra vita cristiana, quando commettiamo dei peccati, dobbiamo chiedere a Dio di perdonarci di nuovo; oppure, perché siamo stati già perdonati attraverso il sacrificio di Gesù, è sufficiente pentirsi e ravvedersi dinanzi a Dio, riconoscendo il proprio peccato? {M.C.}

Ad aspetti rilevanti di tali questioni rispondo come segue: È fuori dubbio che siamo perdonati da Dio mediante il sacrificio di Cristo; non c’è altra alternativa. Bisogna capire però che il sacrificio di Gesù in croce riassume vari sacrifici, che nell’AT erano specifici: sacrificio per il peccato (espiazione), sacrificio per le colpe (perdono, remissione), sacrificio di pace (riconciliazione), olocausto (consacrazione, espiazione). Il sacrificio per il peccato colpisce mediante l’espiazione la natura peccaminosa, per così dire l’albero. Il sacrificio per i peccati o per le colpe colpisce, per così dire, i frutti, elargendo perdono o remissione dei peccati. L’espiazione mediante Gesù sulla croce permette di scampare alla giusta ira di Dio, è il riscatto che elargisce salvezza, giustificazione e santificazione. Il perdono dei peccati permette di ristabilire la comunione, ogni qualvolta essa sia interrotta durante il percorso di santificazione. Se si confondono questi due aspetti, si penserà di aver perso, in qualche modo, la salvezza ogni qualvolta che si commettono certi tipi di peccati.
     Ecco una similitudine illustrativa. Mettiamo che il parente ricco di qualcuno lo abbia prima riscattato dalla schiavitù, in cui era caduto, e poi abbia messo in banca un immenso capitale a suo nome, assicurandogli perciò tale somma. Essa non può però essere prelevata, ma l’intestatario può portare lì ogni cambiale, che non può pagare, perché venga stornata dal capitale depositato. Similmente avviene con i meriti di Gesù davanti a Dio. Egli ci ha prodotto la salvezza e la giustificazione, quindi il riscatto dalla schiavitù del peccato mediante il suo sangue. Altresì assicura il perdono dinanzi a Dio, che ci è accordato e garantito in modo globale, ma che ci viene operativamente concesso ogni volta che confessiamo i nostri singoli peccati.


Il resto dello scritto segue sul sito
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mercoledì 25 settembre 2013

Tatuaggi di cuore



TATUAGGI DI CUORE

Immaginatevi il figlio di un tatuatore professionale molto famoso nell’ambiente, che torna a casa e gli comunica così la sua conversione: «Papà, mi sono fatto fare un tatuaggio speciale. E questo sarà pure l’ultimo». Il padre arriccia la fronte e sbotta: «Chi mai può averti fatto un tatuaggio così speciale, visto che io ho vinto i migliori premi internazionali di tatuaggio?». Il figlio sorride e continua: «Dio mi ha tatuato il Signore Gesù Cristo là, dove tu non potresti mai farlo, ossia nel cuore! Lì rimarrà per sempre indelebile per la grazia di Dio». Il padre rimane sorpreso per il modo a lui comprensibile, con cui il figlio gli ha annunciato l’Evangelo.
     Questa similitudine mi sembra anche un modo illustrativo per spiegare la differenza fra un credente nominale e un credente rigenerato (Nicola Martella; fonte: http://puntoacroce.altervista.org/+Cita/Cita_T_Sh.htm, lemma «Tatuaggi di cuore»).

Il tema di questo scritto non riguarda i tatuaggi in se stessi, ma la rigenerazione. Di quest’ultima si parla nel NT come di «circoncisione del cuore» (Rm 9,29 in spirito, non in lettera), contrapposta a quella della carne (v. 28; cfr. Fil 3,3).



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sabato 21 settembre 2013

Benny Hinn viene a ungere e poi a mungere!



BENNY HINN VIENE A UNGERE E POI A MUNGERE!

Sono stato invitato da più parti ad aderire a un incontro con Benny Hinn, fautore della «dottrina della prosperità». Tutti gli inviti confluiscono sullo stesso tipo di inserzione, dietro cui c’è lo «shop» della cosiddetta «Casa Cristiana Italia». Qui leggo: «Acquista online il tuo biglietto d’ingresso per due serate! Posti limitati, costo Euro 20».
     No, non è un verso tratto dal libro degli Atti, quindi non riguarda Pietro, Paolo o uno degli altri apostoli; essi predicavano la Parola di Dio senza biglietto d’ingresso e senza fare ripetute questue durante gli incontri. Si tratta del solito mesmerista, Benny Hinn, che periodicamente viene a «mietere» in Italia, per poter continuare a vivere nel lusso a casa sua.
     Infatti, chi conosce questo tipo di serate, sa che poi, durante gli incontri, ci saranno le famose questue con offerte «pesanti», con un minimo prescritto, quindi da «trebbia XXL». Benny Hinn è diventato un modello di santoni, che «prima ungono e poi mungono» gli incauti cristiani senza discernimento biblico (1 Gv 4,1). Per questo lui e i suoi accoliti predicano il cosiddetto «evangelo della prosperità», la loro s’intende.
     Quest’uomo costa caro in tutti i sensi: al portafoglio e all’anima! Non fa nulla di gratis. Per lui tutto è un business; per questo a tali incontri vende pure la sua costosa bigiotteria (alcuni prodotti sono al limite della superstizione religiosa!) e quant’altro c’è da vendere, promettendo che tutto è potenziato dalla sua benedizione; ciò non lo distingue dalle stesse pratiche del business dell’esoterismo. E per di più è lui stesso un taumaturgo ed esoterista cristianizzato, pericoloso per la fede semplice in Cristo.
     È un imbonitore, che sa vendersi bene, seguace di Balaam e dei Nicolaiti (i «sacerdoti» del fuoco estraneo di Toronto) e discepolo di Iezabel (Kathryn Kuhlman; cfr. Ap 2,20). Balaam significa in ebraico (ba`al`am) «dominatore di popolo» (cfr. Ap 2,14), allo stesso modo del termine «Nicolaita» in greco (nikolaḯtēs; cfr. Ap 2,6.15); coloro, che furono chiamati così da Giovanni, sfruttavano le chiese finanziariamente e propagavano false dottrine. Benny Hinn appartiene a questa categoria. Pietro, parlando di coloro, che «hanno il cuore esercitato alla cupidigia», affermò che Balaam «amò il salario d’iniquità» (2 Pt 2,15s). E Giuda affermò che tali falsi maestri «per lucro si sono consegnati al traviamento di Balaam» (Gd 1,11). Per lui vale lo stesso slogan contro l’Aids: «Chi lo conosce, lo evita!».

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martedì 17 settembre 2013

Regole morali nelle religioni e nel cristianesimo biblico



REGOLE MORALI NELLE RELIGIONI E NEL CRISTIANESIMO BIBLICO

Un lettore mi ha scritto: Sento dire spesso ed è facile constatare che in ogni religione c’è un fondo di «verità» ovvero delle giuste regole morali. Credo sia scontato dire che anche un ateo possa comportarsi bene, ma anche un musulmano o un buddista. Ognuno sostiene dell’altro che solo la propria religione è portatrice d’una verità assoluta. La mia domanda è questa: in cosa il cristiano di potrebbe dire che si differenzia dagli altri?
     Faccio un esempio prendendo una situazione stereotipata. Si dice che una donna non credente possa tradire con maggiore facilità il proprio partner, mentre una donna timorata di Dio avrebbe più remore nel farlo.
     Anche se tale situazione non è sempre regola, si potrebbe ampliare tale discorso soffermandoci sul fatto che sul comportamento d’una persona incide quanto segue: l’educazione, l’ambiente e l’indole. Quindi ritornando alla questione principale: quale è il tratto distintivo d’un credente o meglio d’un rigenerato? {V. R.}

Ad aspetti rilevanti di tali questioni rispondo come segue: Nella maggior parte delle religioni le regole morali e l’ubbidienza a esse sono la via per ascendere a livelli più alti della consapevolezza (di sé, del divino), della devozione, per auto-innalzarsi, per ricevere una illuminazione mistica, per ascendere al divino (o per scoprirlo in sé, come nelle religioni dell’Estremo Oriente o nella spiritualità mistica e gnostica dell’Occidente) e unirsi a Lui o a Esso (secondo la diversa concezione). In pratica l’ubbidienza alle regole morali esprime nella maggior parte delle religioni un eroismo antropologico, che rende parimenti eroi religiosi venerabili (guru, maestri, yogi, unti, santoni, ecc.), distinti dalla massa. Idee del genere sono state importate anche nella religione popolare dell’Occidente, dove hanno sperimentato una cristianizzazione.
     Nel cristianesimo biblico le regole morali non sono un obiettivo in sé, ma una conseguenza logica di una trasformazione mediante lo Spirito di Dio, chiamata «nascita dall’alto» o «nuova nascita», «rigenerazione», eccetera. L’uomo non può arrivare a Dio né piacergli seguendo regole morali, né esse permettono di per sé di raggiungere un livello di eroismo religioso. Come il nuovo innesto in un albero selvatico permette la produzione di buoni frutti, così è con l’uomo: quando una persona diventa credente, accettando Gesù quale personale Salvatore e Signore, Cristo lo trasforma mediante lo Spirito Santo e produce in lui frutti positivi (buone opere, ubbidienza a Dio) in corrispondenza della nuova vita e della vocazione divina.
     L’anti-eroismo, mostrato dalla morale biblica, è dato dal fatto che la Scrittura afferma che, oltre alla presenza della nuova natura (uomo nuovo) nel credente, in lui resta sempre la vecchia natura (vecchio uomo), che può prendere il sopravvento e produrre le «opere della carne». […]

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domenica 8 settembre 2013

Calunniatori vocazionali a rischio



CALUNNIATORI VOCAZIONALI A RISCHIO

C’è una sorta di calunniatori, che pretende di poter esplicare tale sua «vocazione» addirittura per onorare il Signore! Tali pubblici denunziatori sentono una chiamata dall’alto! Affermano di voler ristabilire la verità (la loro!) nel popolo di Dio. Intanto, per dei punti di vista discordanti dai loro, gettano fango a destra e a manca sul loro prossimo, indifferenti per i danni che producono non solo per la reputazione altrui, ma anche per la testimonianza dell’Evangelo e nel regno di Dio. E facendo ciò, si sentono dei «giusti», sì dei «giustizieri». Ora, che afferma la Parola di Dio riguardo a un tale sedicente mandato?
     Gesù ha insegnato a guadare ai frutti, essendo essi decisivi nel riconoscere l’albero (Mt 7,16.20). Non basta l’apparenza di pecora, se dentro di è lupi rapaci (v. 15). Un albero buono non produce frutti cattivi, e viceversa (vv. 17s).
     Non si può pretendere di fare cose ingiuste per onorare Dio. «Si colgono forse delle uve dalle spine, o dei fichi dai triboli?» (v. 16), chiedeva Gesù. E Giacomo, riprendendo tali parole, portò questa riflessione: «La lingua, nessun uomo la può domare; è un male senza posa, è piena di mortifero veleno. Con essa benediciamo il Signore e Padre; e con essa malediciamo gli uomini, che sono fatti a somiglianza di Dio. Dalla medesima bocca procede benedizione e maledizione. Fratelli miei, non dev’essere così. La fonte getta essa dalla medesima apertura il dolce e l’amaro? Può, fratelli miei, un fico fare ulive, o una vite fichi? Neppure può una fonte salata dare acqua dolce» (Gcm 3,8-12).
     Perciò, il calunniatore (gr. diábolos) è spregevole agli occhi di Dio, anche quando pretende di fare ciò, per onorare il Signore! Chi si arroga il diritto di gettare fango sugli altri, non è una persona retta, ma malvagia; e come tale è contaminata nella sua mente, di cui la lingua è solo la periferica evidente! (cfr. Gcm 3,6).
     Chi calunnia il suo prossimo, abusando addirittura del nome di Dio, è paragonabile a un falso profeta (cfr. Gr 14,14). I calunniatori per vocazione, se non si ravvedono, corrono un grave rischio, vivendo essi su una polveriera, che prima o poi li distruggerà.
     Che triste, un giorno, quando compariranno dinanzi al Signore, con la pretesa di essere da Lui onorati, per l’opera di diffamazione condotta sedicentemente nel nome di Gesù (Mt 7,22), si sentiranno dire da Lui: «Io non vi conobbi mai; allontanatevi da me, voi tutti operatori d’iniquità» (v. 23).

Qui ci sono solo alcuni brani dello scritto, il resto segue sul sito
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mercoledì 4 settembre 2013

La strumentalizzazione di 2 Pietro 1,20s



LA STRUMENTALIZZAZIONE DI 2 PIETRO 1,20S

In 2 Pietro 1,20 la traduzione detta CEI riporta a senso che «nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione», suggerendo che qui si tratti dell’interpretazione delle sacre Scritture e che essa debba essere esercitata solo da un magistero centrale.
     Per capire questo testo, bisogna comprendere che nel testo greco non si legge «scrittura profetica» (gr. profētik graf; cfr. 2 Pt 1,19 profētikós lógos «parola profetica»), ma profēteía grafẽs «profezia della Scrittura». Inoltre, il termine greco profēteía intende semplicemente «proclamazione» (ispirata), sia quella dei predicatori dell’AT (profeti), sia quella di Gesù, sia quella degli apostoli e degli altri autorevoli credenti del NT, la quale poi fu messa per iscritto e ci fu tramandata.
            È stata richiesta una mia opinione sulle traduzioni. Non si comprende come la forma verbale ghínetai (pres. ind. med. 3a sg.) di ghínomai «divenire, diventare, accadere, sorgere, apparire» possa essere stata tradotto con «va soggetta a», stravolgendo l’intero significato del brano; lo stesso vale per la cosiddetta Nuova Diodati, che riporta «è soggetta a», mostrano una chiara dipendenza dalla CEI. Similmente i revisori rispettivamente della Riveduta e della Nuova Riveduta dovrebbero spiegare sufficientemente da dove proviene tale «procede da» o «proviene da». […]
     Ecco la mia traduzione letterale e radicale di 2 Pietro 1,20s dal greco: «…sapendo questo, prima di tutto, che nessuna proclamazione della Scrittura sorge da spiegazione propria. [21] Infatti, la proclamazione non fu mai prodotta da volere d’uomo; ma uomini condotti dallo Spirito Santo parlarono da parte di Dio». […]

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domenica 1 settembre 2013

Le sale di culto



LE SALE DI CULTO

1. Interpretazioni del luogo
     L’interpretazione della «sala di culto» è molto varia. Per gli uni è una specie di santuario o la «casa del Signore», dove si entra in punta di piedi e si sta attenti a ciò, che si dice o si fa, poiché il «Padron di casa» potrebbe offendersi. Non a caso, alcuni danno nomi liturgici alla propria sala di culto, ad esempio «tempio». Tali credenti dimenticano che a Gerusalemme i cristiani giudaici si radunavano nelle case, oltre ad andare nel tempio, fintantoché rimase in piedi. Altrove i cristiani si radunavano perlopiù solo nelle case, e non c’era alcun divario fra casa e chiesa. Il termine greco ekklesia significa «raduno, assemblea» e intende, quindi, i credenti e non un edificio. Sacralizzare un luogo, è pericoloso, poiché si divide la vita in sacro e profano, mentre l’intera esistenza del credente dev’essere santa. I credenti possono radunarsi dappertutto, e per loro non cambierebbe nulla nel loro culto. Le «sale di culto» sono uno strumento utile e non un fine; perciò, si può essere grati di avercele, poiché aiutano una comunione più ampia fra credenti, cosa che le case non offrirebbero, essendo in genere piccole. 


2. Perché si va agli incontri di chiesa?
     I motivi perché si va al culto sono anch’essi vari. Alcuni vanno per comunione… […]

Sul sito seguono i seguenti punti: 2. Perché si va agli incontri di chiesa?; Per l’approfondimento biblico.
     [CONTINUA LA LETTURA: www.diakrisis.altervista.org/_Dot/T1-Sale_di-culto_UnV.htm] Solo dopo aver letto l’intero scritto sul sito, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute? ATTENZIONE: Quanto scritto sulle bacheche o nei gruppi gestiti da Nicola Martella o inviato per e-mail, può diventare oggetto di un nuovo tema di discussione o un contributo sul sito «Fede controcorrente» e su altri associati ad esso.