giovedì 24 giugno 2010

Sincronia e diacronia tra dicotomia e complementarietà 1 - 25-06-10


SINCRONIA E DIACRONIA TRA DICOTOMIA E COMPLEMENTARIETÀ 1

Questo articolo lo presentiamo in due parti, a causa della sua lunghezza, specificità e difficoltà di comprensione per tanti lettori. Esso non è destinato a tutti, ma solo a quei lettori che sono appassionati dell’interpretazione del testo biblico, quindi di ermeneutica, di esegesi contestuale, di linguistica e discipline affini.
    Tale approfondimento rappresenta la risposta di Tonino Mele a uno studio precedente di Francesco Grassi: Per un’analisi lessicale del testo biblico 1 | 2.
    Qui di seguito si fa uso dei termini «sincronico» e «diacronico». Col primo s’intende il significato di un termine in un certo momento della storia; mentre «diacronico» intende l’uso e lo sviluppo di un dato termine nel tempo.
    L'autore comincia il suo articolo come segue. L’articolo pubblicato nel sito dal titolo «Per un’analisi lessicale del testo biblico 1» è un buon articolo, che merita d’essere letto e approfondito anche da chi potrebbe, a una prima lettura, trovarlo difficile e «pesante». È un articolo interessante, che rivela la dimestichezza dell’autore con certi approcci allo studio della Bibbia che, è vero, non hanno molta eco nella nostra realtà evangelica italiana. Con una ricerca un po’ certosina, cose interessanti e utili si possono trovare anche qui in Italia, ma poi vanno anche rielaborate, valutate e collocate in un discorso ordinato e lineare. L’autore dell’articolo, attingendo da fonti perlopiù nordamericane, ha fatto questo per noi, dandoci una rappresentazione, forse per molti nuova, di quelli che sono gli sviluppi della ricerca biblica, alla luce anche delle importanti acquisizioni delle scienze linguistiche. Siamo dunque grati all’autore di questo e lo incoraggiamo a darci ancora contributi del genere.
     Tuttavia, bisogna dire che l’impianto piuttosto polemico dell’articolo, ha portato l’autore a compiere qualche «fuga in avanti», finendo per polarizzare e radicalizzare un po’ troppo le sue posizioni. Infatti, a tratti si ha l’impressione che egli corra troppo, quasi come una «staffetta» che, dopo aver raccolto qualche mia affermazione, la porta avanti in modo sempre più distante dal «mio» pensiero. Così facendo, il confronto si trasforma in una sorta di «non dialogo», dove il flusso del pensiero non è più regolato dalla correlazione dialogica dell’uno di fronte all’altro (confronto appunto), ma in una sorta di monologo dell’uno senza l’altro. Si pensa d’aver capito tutto del proprio interlocutore, quindi ci si proietta in avanti con i suoi pensieri, in una logica serrata, che non solo smarrisce il vero pensiero dell’altro, ma finisce per sbilanciare anche il proprio pensiero, rischiando di cadere dalla parte opposta.
     Anche se ho affermato che «bisogna conoscere l’uso diacronico d’un termine, prima» di fiondarci nello studio sincronico, non ho voluto dare assolutamente nessuna preminenza al primo, né dire che tale metodo decide le sorti della mia esegesi, né tanto meno dire che il senso lessicale d’un termine deriva dalla sua etimologia. Questo non m’appartiene e basta rileggere il mio studio su 2 Pietro 1,3-4, dove non ho attribuito a questi versetti «sensi lontani», neppure se distanti solo di qualche capitolo (allusione al cap. 3), ma ho cercato nella struttura, nelle parole ripetute (epignosis) e nel senso del cap. 1, il significato dei versetti in questione. Più sincronico di così? [Continua la lettura: http://puntoacroce.altervista.org/Artk/2-Sincron_diacro_complement1_Avv.htm ] Solo dopo aver letto l'intero scritto, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute? {Nicola Martella}
 
Inoltre, ecco gli ultimi scritti già messi in rete:

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