LA
PECORA CAPARBIA E IL DOVERE VERSO LE ALTRE
Dovresti continuamente occuparti delle pecore caparbie, che
si sono allontanate volontariamente dal gregge e, se trovate, non vogliono
tornare, ma occupano lungamente il tuo tempo e le tue energie, senza alcun
risultato?
1. IL CASO BIBLICO
Gesù riportò la
seguente similitudine, per illustrare la gioia di Dio salvatore verso chi si
converte: «Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e una di queste si smarrisce, non lascerà le
novantanove sui monti per andare in cerca di quella smarrita? E se gli riesce
di ritrovarla, in verità vi dico che egli si
rallegra più per questa che per le novantanove che non si erano smarrite» (Mt 18,12s). Come il pastore
non vuole che la sua pecora perisca, così neppure il Padre celeste vuole che si
perdano «questi piccoli» (v. 14); questo dev’essere pure il sentimento dei
conduttori di chiesa.
Perdere l’orientamento ha tante cause
(disattenzione, distrazione, imperizia, poca cautela, ecc.), ma in genere
nessuno si smarrisce di propria volontà. Che fare, però, quando una pecora si allontana volontariamente dal gregge
e lo fa magari più di una volta? Dovrà il pastore lasciare le altre pecore da
sole, in pericolo, per andare a cercare quella smarrita? Una siffatta pecora la
si può legare e, se rimane caparbia, la si può vendere o addirittura ucciderla
per mangiarsela. A un certo punto, ogni pastore si rende conto che ha un dovere verso le altre novantanove
pecore.
Le persone non sono come le pecore, hanno
un senso di auto-determinazione e di volontà. A volte tali credenti se ne vanno deliberatamente dalla
comunità e, quando cercate, non sempre vogliono tornare. Eppure può succede che
una tale «pecora» richieda l’investimento di molto tempo e di grandi energie; e
a volte succede che dica alle guide della chiesa: «Lasciatemi in pace e non cercatemi più!». Intanto, ha
consumato tempo ed energie utili per aiutare le altre 99, che ha spesso
trascurato, per assecondare la centesima caparbia. Vi pare saggio?
2. ENTRIAMO IN TEMA
Quale conduttore
non conosce il caso di credenti, a cui si è data tanta cura pastorale, ma che alla fine, come delle pecore caparbie e
ribelli, hanno voluto continuare a vivere nel peccato, in cui sono incappati,
hanno rifiutato ogni ammonizione e,
infine, si sono allontanati dal «gregge»? Abbiamo continuato a rincorrere tali
credenti, a pregare per loro, a esortarli ad abbandonare il loro peccato e a
ritornare all’«ovile», ossia nella comunione fraterna. Tutto ciò non è servito
a nulla, se non ad avere notti insonni, tristezza nel cuore e a continuare a
occupare tempo in preghiera. La cosa triste è che proprio tali persone snaturano la realtà dei fatti dinanzi
ad altri e fanno passare se stesse come i «buoni» (vittime) e proprio coloro,
che le hanno curate, come i «cattivi» (carnefici). Purtroppo, spesso contattano
i credenti della chiesa, raccontano la loro falsa interpretazione dei fatti e
seminano dubbi e sospetti negli
altri verso le guide della chiesa. Si spera in un cambiamento e in un
ravvedimento, ma col tempo tutto si incancrenisce di più. Tali persone, pur
vivendo nel peccato, vogliono un Dio a
propria immagine, che le ami e le benedica, pur vivendo esse nella
ribellione e nella disubbidienza. Eppure la diagnosi biblica è chiara: chi
persiste nel peccato, non ha conosciuto Dio. «Ognuno, che permane in Lui,
non sta a peccare; ognuno, che sta a peccare, non l’ha visto né l’ha conosciuto» (1 Gv 3,6).
Sul sito sono presenti inoltre i seguenti punti: 3. Quando manca il pentimento; 4.
La dinamica della caparbietà; 5. Il momento di smettere di rincorrere; 6.
Attenzione al contagio; 7. Quando si è fatto oltre il dovuto; 8. Badare al
resto del gregge.
[CONTINUA LA LETTURA:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Pecora_caparbia_S23.htm]
Solo dopo aver letto l’intero
scritto sul sito, voi che rispondereste nel merito alle
questioni in esso contenute?
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