NATURA DIVINA E INCORRUTTIBILITÀ IN 2 PIETRO 1,3-4
Nell'introduzione Francesco Grassi esordisce come segue. Spesso nell’interpretazione d’un brano difficile, la prima cosa che facciamo è quella di ricorrere a possibili brani paralleli. Questo non è sbagliato in sé, ma può capitare di dire la «cosa giusta nel posto sbagliato». È certamente vero e giusto che la «Bibbia si spiega con la Bibbia», ma questo non è sempre necessario e desiderabile, quando il risultato è che un brano viene appiattito su d’un altro. Soprattutto poi quando una soluzione più coerente si può avere, pur non andando contro le altre verità bibliche, partendo da una esegesi strettamente legata al contesto immediato e letterario (cioè di uno stesso autore).
Rimanere strettamente legati al contesto e al linguaggio, ci dà inoltre la possibilità di carpire le «sfumature» teologiche (non diverse teologie però!) d’ogni autore, e solo successivamente d’inquadrarle nel più ampio concetto teologico-biblico e canonico.
Da quello che mi sembra di capire, infatti, qualunque cosa voglia dire l’espressione «natura divina», Pietro sta evidenziando «un aspetto» di quella tensione oramai ben conosciuta in teologia biblica, ovvero del «già qui, ma non ancora», senza con questo voler negare altri aspetti della medesima, sostenuti da Paolo per esempio (concetto di giustificazione, rigenerazione, adozione, ecc.). Secondo questa tensione possiamo coerentemente dire che siamo già stati salvati, abbiamo ricevuto la vita eterna, abbiamo le primizie dello Spirito, siamo stati adottati, siamo stati redenti, ecc. Tuttavia, allo stesso tempo, attendiamo ancora la salvezza (Rm 8,24; Eb 9,28), la redenzione (Ef 1,14), la futura adozione (Rm 8,23), la pienezza «di Dio» (1 Cor 15,28); siamo ancora continuamente trasformati a immagine di Cristo (2 Cor 3,18; cfr. 4,16; Col 3,10) e saremo solo alla fine simili a lui, pur essendo già ora figli (1 Gv 3,2); saremo liberati, non solo dalla potenza del peccato (Rm 6,18.22; 8,21; Col 1,13), ma anche della sua presenza (Ap 21-22; 1 Cor 15,53); saremo glorificati (Rm 5,2, 8,17.30), benché già oggi abbiamo la gloria di Dio (Gv 17,22; Rm 3,23); rivestiamo oggi «un uomo nuovo» (Ef. 4.24), ma solo al futuro «rivestiremo l’incorruttibile» (1 Cor, 15,53-54).
Ora, la questione è quale aspetto Pietro vuole evidenziare: passato (rigenerazione / nuova nascita) o futuro (glorificazione / resurrezione)? Prima d’analizzare il brano e cercare d’individuare da quale parte della tensione Pietro stia, mi sembra opportuno dare una veloce occhiata allo sfondo storico e linguistico della frase «partecipi della natura divina». [Continua la lettura: http://puntoacroce.altervista.org/Artk/2-Natur-div_incorruttib_2Pt1-3s_Esc.htm] Dopo aver letto l'intero scritto, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute? {Nicola Martella}
Inoltre, ecco gli ultimi scritti già messi in rete:
■ Il catechista cattolico e la neo-evangelica: http://puntoacroce.altervista.org/Artk/1-catec-carism_neo-evang_Avv.htm
■ Eliseo e la maledizione dei fanciulli (2 Re 2,23-25): http://puntoacroce.altervista.org/Artk/1-Eliseo_maled_fanc_R34.htm
■ Sorvegliante sì, pastore no?: http://puntoacroce.altervista.org/Artk/1-Sorvegliante_pastore_EdF.htm
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