BISOGNA
OBBEDIRE AI CONDUTTORI?
Un lettore mi ha scritto quanto segue: Ciao Nicola, rileggendo i commenti nel
tema di discussione «Sottomissione ai conduttori e loro disciplina? Parliamone»
(un po’ in ritardo, me ne rendo conto), mi accorgo che viene usata, sia nell’articolo
che nell’intervento di Gianpirro Venturini (e forse sottintesa anche da Andrea
Belli, Davide Incardona, Luisa Lauretta e Antonio Perrella) il concetto di «ubbidienza» agli anziani.
L’ubbidienza
quindi, mi sembra venga considerata in genere come condizione che regola il rapporto fra conduttori e credenti.
Io sono pastore,
parlo quindi da fratello, che magari gradirebbe trovare «ubbidienza», ma vedo
chiaramente che questa parola, riferita ai conduttori, non appare in nessuna delle versioni che conosciamo, neppure nella
CEI. L’unico brano che può far pensare alla necessità di «obbedire» ai
conduttori, mi sembra sia 1 Timoteo 3,4s:
«..uno che governi bene la propria
famiglia e tenga i figli in sottomissione con ogni decoro; (ma se uno non sa
governare la propria famiglia, come potrà aver cura della chiesa di Dio?)».
E come dice la Parola, la sottomissione dei figli ai genitori comprende l’ubbidienza:
«Figli,
ubbidite nel Signore ai vostri
genitori, perché ciò è giusto» (Ef 6,1). Sembrerebbe quindi di vedere un
parallelo fra i figli che devono obbedienza ai genitori e i credenti che devono
obbedienza agli anziani. Dobbiamo notare però che il figlio deve ubbidienza ai
genitori, fintantoché è bambino, non
quando è adulto. Così, ad esempio, Gesù
stesso visse la sua infanzia sottomesso ai genitori, ai quali sicuramente
obbediva, ma una volta che da adulto iniziò il suo ministero, fu libero di non
obbedire loro (cfr. Mt 12,46-50). Il figlio
adulto infatti, è chiamato a onorare i genitori, non a obbedire loro.
Nella Scrittura
quindi non si legge la parola «ubbidienza» riferita agli anziani, ma «sottomissione»,
un sinonimo che però non credo abbia lo stesso significato, altrimenti la frase
che in quell’articolo è stata ricordata da diversi fratelli «siate sottomessi
gli uni agli altri» diventerebbe semplicemente impraticabile se venisse
tradotta «ubbidite gli uni agli altri».
Quindi, il
rapporto fra conduttori e credenti mi sembra debba essere di reciproco amore e
profondo rispetto («Amatevi gli uni gli altri come Io ho amato voi»); e, nel
caso debba essere preso un provvedimento
disciplinare, dovrà essere sufficientemente motivato e mai autoritario,
cioè imposto senza fornire spiegazioni verificabili e rifiutando addirittura
richieste di chiarimenti, come nell’esempio proposto nell’articolo.
Comprendo però che
a volte il non conoscere i termini
esatti, usati nei testi antichi, può portarci a convinzioni imprecise o
sbagliate, mi farebbe piacere perciò sapere cosa ne pensi tu Nicola, riguardo
al termine «obbedienza». {C. N.; 17-02-2014}
Ad aspetti rilevanti di tali questioni rispondo sul sito nei
seguenti punti: 1. Analisi
dello scritto; 2. Obbedire e conduttori; 3. Sottomissione e obbedienza; 4. Aspetti
conclusivi.
[CONTINUA LA LETTURA: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Obbed_condut_Avv.htm]
Solo dopo aver letto l’intero
scritto sul sito, voi che rispondereste nel merito alle
questioni in esso contenute?
ATTENZIONE: Quanto scritto sulle
bacheche o nei gruppi gestiti da Nicola Martella o inviato per e-mail, può
diventare oggetto di un nuovo tema di discussione o un contributo sul sito
«Fede controcorrente» e su altri associati a esso.
*** Discuti questo tema
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