venerdì 30 novembre 2012

Mi sono bloccato



MI SONO BLOCCATO

«O Dio, abbia pietà, quando in me non c’è posto per te. Vieni, o Dio, per un momento, e donami una parola, che mi apra e mi porti avanti. Signore, abbi pietà» (Günter Ruddat; tradotto e adattato da Nicola Martella; fonte: «Parola di grazia»).

Chi non lo conosce: un movimento sbagliato, un colpo di freddo, uno strappo muscolare, un «colpo di frusta» o un cosiddetto «colpo di strega» e ci troviamo bloccati per giorni, senza poterci muovere. Tutti i tentativi per sbloccarci, vanno a vuoto. Similmente accade, a volte, sul piano spirituale.
     Ci sono momenti, in cui ci si chiude e blocca come un vecchio lucchetto, e tutti i tentativi di sbloccarsi risultano vani. […]
     Quando un suono colpisce un diapason alla stessa lunghezza d’onda, esso vibra e risuona. Similmente anche noi necessitiamo di una parola di grazia da parte del Signore, che dalla sacra Scrittura vibri all’unisono nella nostra particolare situazione e ci apra a una nuova relazione con Dio. Una volta avviata, tale nuova melodia nel nostro spirito, essa farà vibrare all’unisono altri versi della Scrittura, con cui sentiremo nuovamente che Dio ci parla, ci esorta, ci ammonisce, ci insegna, ci incoraggia, ci consola. Il lucchetto è di nuovo ben oleato e la chiave lo apre senza difficoltà. […]

Il resto dello scritto si trova sul sito.
     [CONTINUA LA LETTURA: www.diakrisis.altervista.org/_Cres/T1-Bloccato_GeR.htm ] Solo dopo aver letto l’intero scritto, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute? {Nicola Martella}

martedì 27 novembre 2012

Rasare o spuntare la chioma



RASARE O SPUNTARE LA CHIOMA

Un lettore mi ha scritto quanto segue: Ho letto un vostro articolo sulla capigliatura della donna, in relazione al velo. Con piacere ho notato la sua obbiettività sull’argomento, ritenendo possibile che il velo, che nel testo originale non compare, se non alla fine, possano essere i capelli lunghi. Io credo così! Ma volevo chiedere una precisazione sul termine tagliare e il suo senso nel testo greco. Spero che mi possa rispondere.
     I termini keirastai e xurastai hanno certamente una differenza, giusto? Uno si riferisce al tagliare la massa, l’altro, a raso. La precisazione, che volevo chiedere, è la seguente: Si può percepire, dal senso del termine keirastai, che la donna non debba neanche spuntare i suoi capelli? Praticamente, ella non dovrebbe toccarli assolutamente, come era nell’uso del nazireato? Spero tanto che mi sappia rispondere in questo lato tecnico della lingua greca. {G. .L.}

Ad aspetti rilevanti di tali questioni rispondo come segue: Il verbo greco keirō significa semplicemente «io taglio, toso, rado». Ad esempio, tale verbo era usato per la chioma: i capelli venivano interamente tagliati in segno di lutto. Perciò si parlava di avere la testa tosata o i capelli tagliati. Tale verbo era usato per indicare il taglio di fiori, foglie, rami, tronchi e alberi. Era quindi usato per indicare l’azione di disboscare un monte. Era anche usato per indicare il rodere, consumare, divorare, dilapidare interamente qualcosa (fegato, sostanze, averi), quindi anche per saccheggiare, devastare, fare strage.
     Dopo aver detto ciò, alla domanda se keirō si riferisse anche a spuntare la chioma femminile o accorciarla, la risposta è assolutamente no, poiché tale verbo indicava sempre un’azione radicale, anche quando era usato per chioma e capelli. […]

Sul sito segue il resto dell’articolo.
     [CONTINUA LA LETTURA: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Rasa_spunta_GeR.htm ] Solo dopo aver letto l’intero scritto, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute? {Nicola Martella}


lunedì 26 novembre 2012

Grattati, tanto non vinci!



GRATTATI, TANTO NON VINCI!

1. Il gioco e le sue dipendenze
     Si dice da ogni parte: «Siamo in crisi» o «Siamo in recessione». Tante persone, loro malgrado hanno perso il lavoro. L’Istat, le associazioni dei consumatori e le confederazioni degli esercenti affermano che le famiglie hanno dovuto comprimere ancor di più i loro consumi. Tutto vero.
     Eppure, non si sa mai perché tutti i tipi di giochi d’azzardo non temono la crisi. Non solo ci sono i classici «gratta e vinci», le schedine per il calcio, per le corse di cavalli e per altro. Ci sono le slot-machine di ogni tipo. Vedo che nei luoghi, dove prima c’erano negozi d’ogni tipo, ora nascono come i funghi luoghi ludici dai nomi bizzarri, dove si può tentare la propria fortuna… e, soprattutto, fare quella dei gestori (e dello Stato, che ci guadagna). Anche questo, dicono gli esperti, è un segno della crisi: la gente gioca di più, credendo che una vincita — proprio una loro vincita — cambierà la loro vita!
     Come gli esperti mostrano, ad aumentare sono anche le dipendenze da gioco, sia in tali centri ludici, sia in Internet. Ci sono persone, che entrano in uno stato compulsivo e giocano come in trance, dimenticando tutto ciò che sta intorno; è proprio una droga. Più perdono e più giocano ossessivamente, credendo di rifarsi. Alcuni impegnano progressivamente tutto ciò, che hanno. Alla fine c’è il disastro economico per sé e per le proprie famiglie. A ciò segue l’indigenza e la caduta in altre dipendenze.

2. L’insegnamento biblico
     Che cosa afferma la sacra Bibbia nel merito? […]

Il resto dello scritto si trova sul sito.
     [CONTINUA LA LETTURA: www.diakrisis.altervista.org/_Etic/T1-Grattati_vinci_EnB.htm ] Solo dopo aver letto l’intero scritto, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute? {Nicola Martella}

venerdì 23 novembre 2012

Ghehazi colpito da morbo cutaneo



GHEHAZI COLPITO DA MORBO CUTANEO

Tempo fa, in un gruppo, a cui sono stato iscritto, ho trovato le seguenti e interessanti questioni sulla storia di Eliseo e Ghehazi: La storia di Eliseo è in ordine cronologico? Infatti, al servo di Eliseo è stata passata la lebbra di Naaman, ed era bianco come neve, quindi la malattia era a uno stato avanzato (2 Re 5,27). Nel frattempo ci sono stati altri eventi e 7 anni di carestia (2 Re 8). Almeno 7 anni dopo, ma saranno stati di più, troviamo Gehazi al cospetto del re a parlare delle gesta di Eliseo. Si tratta di omonimia? Perché difficilmente avrebbe potuto sopravvivere 7 anni e, comunque, non si sarebbe potuto presentare a un re in quelle condizioni. O sbaglio? {A.M.; 22-04-2011}

Ad aspetti rilevanti di tali questioni rispondo come segue: Per prima cosa bisogna osservare che non si trattata della lebbra moderna, ma di certe malattie cutanee, che attaccavano anche stoffe e pelli. Nella mia traduzione letterale del Levitico ho riprodotto il termine ebraico correttamente con «morbo». Alcune di queste malattie come la rogna e la tigna a quel tempo non erano curabili (Dt 28,27). Anche riguardo a quella che per convenzione viene tradotta come «lebbra», è scritto letteralmente: «…è tigna, è “morbo” del capo o della barba» (Lv 13,30; cfr. vv. 31-37). Ora, come viene spiegato, la tigna è solo una di tali malattie cutanee contagiose (Lv 14,54).
     Secondo la legge mosaica, quando tale morbo cutaneo copriva tutto il corpo di una persona, cosicché appariva completamente bianca, la malattia s’era cronicizzata e la persona era praticamente guarita e non più infettiva! Cito dalla mia traduzione: «E se il “morbo” erompe impetuosamente e il “morbo” copre tutta la pelle di chi ha la piaga, dal suo capo ai suoi piedi, dovunque gli occhi del sacerdote guardino, e [quando] il sacerdote [lo] esaminerà, ed ecco, il “morbo” copre tutto il corpo, dichiarerà come puro [chi ha] la piaga: essendo diventata tutta bianca, è pura» (Lv 13,12s). Non essere più contagiosi per gli altri non significava, però, per forza che l’agente patogeno fosse sparito dal corpo della persona, ma che le sue difese immunitarie lo tenevano sotto controllo (cfr. l’herpes). […]

Sul sito segue il resto dell’articolo.
     [CONTINUA LA LETTURA: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Ghehazi_morbo_R34.htm] Solo dopo aver letto l’intero scritto, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute? {Nicola Martella}


mercoledì 21 novembre 2012

Dobbiamo portare noi la croce di Cristo?




DOBBIAMO PORTARE NOI LA CROCE DI CRISTO?

«Gesù non ti chiede di portare con lui la pesante croce,
ma un piccolo pezzo della sua croce»
(Padre Pio da Pietrelcina, ossia Francesco Forgione).

Ho trovato in rete tale affermazione ad effetto che, se analizzata a fondo, con la Bibbia alla mano, potrebbe rivelare un alto indice di deviazione dottrinale, sebbene essa sia stata velata nella terminologia da un linguaggio illustrativo e da uno spiritualismo misticheggiante, che possono far presa ed effetto sull’animo religioso.
            A guardare bene, si tratta di una dottrina biblicamente sbagliata basata su approssimazioni! Gesù non ci ha mai chiesto di portare la sua propria croce (in tutto o in parte), poiché questo lo ha fatto lui stesso e da solo. In tali momenti della sua passione e morte, tutti i discepoli lo avevano abbandonato. In qualche modo, qui viene sottilmente suggerita una compartecipazione alla propria redenzione e l’incapacità di Cristo di crearla da solo e del tutto. Inoltre, viene data alla sofferenza personale la capacità di espiare i propri peccati, almeno in compartecipazione alle sofferenze di Cristo.
            In effetti, Gesù ha preteso qualcosa di diverso: «Allora Gesù disse ai suoi discepoli: Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso e prenda la sua croce e mi segua» (Matteo 16,24). Ciò significava, che chi lo seguiva, doveva vivere come uno, che si considerava un condannato a morte; quindi doveva seguirlo al 100%, senza se e senza ma (cfr. vv. 25ss).
            Come si vede, l’errore sta sempre nel dettaglio. Qualcosa, che è quasi giusta, si rivela poi del tutto sbagliata. Bisogna rendersi conto che basta spostare leggermente gli accenti teologici (si veda come fecero già il serpente ed Eva nell’Eden!), e la redenzione diventa un prodotto antropologico (umanesimo cristianizzato, spiritualismo umanistico), invece di rimanere l’esclusiva e irripetibile opera di Cristo. «Egli è entrato una volta per sempre nel santuario [celeste], avendo acquistata una redenzione eterna» (Ebrei 9,12; cfr. 7,27; 10,10).
     Inoltre, il Cristo glorioso non porta più la croce, poiché lo ha fatto una volta sola circa due millenni fa…

Il resto dello scritto si trova sul sito.
     [CONTINUA LA LETTURA: www.diakrisis.altervista.org/_Dot/T1-Portare_croce_Cristo_EdF.htm ] Solo dopo aver letto l’intero scritto, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute? {Nicola Martella}

 

martedì 20 novembre 2012

Vieni a prendere il tuo miracolo? Parliamone




VIENI A PRENDERE IL TUO MIRACOLO? PARLIAMONE

«Vieni a prendere il tuo miracolo!»: questo è stato lo slogan, che abbiamo affrontato in un articolo.
     Il nostro motto rimane questo: «Non partecipare a tale mercato dei prodigi a bacchetta!». Infatti, la Scrittura parla del Dio sovrano, che agisce secondo il suo segreto consiglio e a proprio arbitrio. Gesù stesso insegnò ai suoi apostoli di pregare così: «Padre nostro… venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà anche in terra, com'è fatta nel cielo» (Mt 6,9s). Gesù stesso pregò nell’ora estrema: «Padre mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice! Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi» (Mt 26,39.42). Il Signore rifiutò preghiere insistenti di suoi servi eccellenti, che erano nel bisogno, rispondendo loro: «La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza» (2 Cor 12,9).
     Al contrario, oggigiorno i miracoli sono presentati da certi taumaturghi cristiani come articoli da fastfood o da supermercato, che basta andare a ritirare alla cassa. Essi promettono in anticipo ciò, che credono Dio sia obbligato a fare a loro comando. Propagano così una falsa immagine del Signore: non il Dio vivente e sovrano, ma una proiezione mentale carismaticista, un «zio buono», che non può fare diversamente, un «Dio» al servizio del guaritore di turno.
     Come si pongono le chiese bibliche rispetto a proclami miracolistici del genere da «mercato dei prodigi», in cui taumaturghi cristiani promettono miracoli, che basta venire a prendere, come se fossero pacchi regalo? Anche i membri e le chiese bibliche devono prendere posizione su cose del genere! Qual è la vostra esperienza in merito?
     È immancabile che alcuni pongano anche qui la questione se carismi e miracoli siano cessati o meno. Tuttavia, non essendo qui il luogo di confronto fra «continuazionisti» e «cessazionisti», chiedo a tutti i lettori, che partecipano al dibattito, di evitare di trasformare questo tema in un sondaggio su «miracoli sì» e «miracoli no» (più glossolalia, ecc.). Questo snaturerebbe il tema attuale. Di tali cose ne abbiamo discusso altrove e non mancherà occasione per farlo nuovamente. Per altro io non sono un «continuazionista» (ciò, che fecero gli apostoli, può essere fatto anche oggi) né un «cessazionista» (i carismi sono cessati), ma un «diversificazionista» (Dio agisce in modo diversificato in ogni periodo della storia della salvezza; questo magari lo spiegherò altrove all’occasione).

Sul sito seguono i contributi dei lettori e le mie eventuali osservazioni…
     [CONTINUA LA LETTURA: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/T1-Tuo_miracolo_Esc.htm ] Solo dopo aver letto l’intero scritto, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute? {Nicola Martella}


domenica 18 novembre 2012

Vieni a prendere il tuo miracolo!




VIENI A PRENDERE IL TUO MIRACOLO!

1. Spot a effetto, ma biblicamente falso
     Io credo nel Dio sovrano che, riguardo ai miracoli a suo arbitrio e secondo i casi, risponde «sì», «no», «non ora» o «la mia grazia ti basta» (2 Cor 12,9). Altra cosa è il «mercato dei miracoli» di ogni tipo e ai «miracoli a bacchetta», con cui viene presentato un «Dio» al servizio del taumaturgo cristiano di turno.
     Ho ricevuto da parte del «Ministero Evangelistico il Tabernacolo» un invito a un evento per il 24 Novembre 2012 a Marcianise (CE) dal titolo «È il tuo momento! Vieni a prendere IL TUO MIRACOLO!». Nell’annuncio si spiega: «Forse ti stai chiedendo da tempo: “Riuscirò a guarire da questa malattia prima o poi? Riuscirò a essere completamente libero?”. Allora questo è IL TUO MOMENTO! VIENI A PRENDERE IL TUO MIRACOLO! Ti aspettiamo!».
     Sul manifesto si legge inoltre: «Serata di liberazione & guarigione».
     La persona in causa, che promette tali miracoli, è un certo Joe Ferreyra, di cui fornisce il sito ed un esempio su YouTube di tali tipi di incontri.

2. Osservazioni e obiezioni
     Lo slogan è quindi: «VIENI A PRENDERE IL TUO MIRACOLO!». La «Serata di liberazione & guarigione» è oramai programmata. Oramai «Dio» non può più sottrarsi al ruolo, che gli hanno affibbiato e, volenti o nolenti, deve semplicemente fare la sua parte!?
     Il Dio sovrano viene reso così il «pozzo di san Patrizio», basta buttare una monetina, esprimere un desiderio ed è fatta! Il Dio vivente viene degradato a una macchinetta automatica di bibite o di oggetti, dove basta inserire qualche soldo, che qualcosa uscirà! Questo non è il Dio della Bibbia, che ha creato l’uomo a sua somiglianza. È il Dio carismaticista, che esoteristi cristianizzati, spesso provenienti dal Sud America, si sono creati a loro propria immagine e somiglianza!
     Esperienze gnostiche, mistiche, esoteriche, occultistiche, magiche fatte in diversi ambiti del mondo occulto (nel Sud America tali esperienze sincretistiche si chiamato macumba, umbanda, santeria, vudù, ecc.) vengono ricondotte alla logica del carismaticismo. Come nella magia bianca si crede di potersi servire di «entità» a proprio piacimento, nel mondo carismaticista si è convinti di poter fare una cosa simile di Dio stesso, per compiere guarigioni trascendentali. Tale pensiero magico cristianizzato è assolutamente da rifiutare! […]

Sul sito segue il resto dell’articolo.
     [CONTINUA LA LETTURA: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Tuo_miracolo_MeG.htm ] Solo dopo aver letto l’intero scritto, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute? {Nicola Martella}


venerdì 16 novembre 2012

Ponte d’amore e di verità




PONTE D’AMORE E DI VERITÀ

«Dio della pace, ti preghiamo: bandisci lo spirito della discordia e dell’inconciliabilità, lo spirito della prepotenza e della sete di potere. Fa che impariamo ad ascoltare — te e gli uni gli altri. Illuminaci, cosicché riconosciamo la tua volontà, e dacci il coraggio di farla» (Karl-Heinz Ronecker; tradotto e adattato da Nicola Martella; fonte: Discordia).

La verità dell’amore e l’amore per la verità non possono essere disgiunti. Le esigenze della verità e quelle dell’amore devono essere tenute presenti, per poter crescere sani e per poter sperimentare la grazia, la misericordia e la pace di Dio. La comune ubbidienza alla verità rivelata e presente nella Scrittura permette un amore fraterno e sincero. Solo l’amore per la verità ci permette di riconoscere l’errore e le fonti di menzogna e di contaminazione spirituale, da cui prendere le distanze. Ogni servo del Signore deve evitare di farsi coinvolgere in dispute stolte e insensate contese, ma deve insegnare la verità con mitezza e pazienza, avendo come obiettivo l’amore per le anime e la possibilità che esse riconoscano la verità biblica.
     L’immagine mostra che il ponte della comunicazione cristiana non si può reggere soltanto sulle buone intenzioni, sui buoni sentimenti e su una mente disponibile, ma necessita di basarsi e di ancorarsi sulla verità dell’Evangelo, ossia sulla persona e sull’opera di Gesù Messia. Se Cristo è al centro, allora anche sentimenti e pensieri potranno farsi ponte per una comunicazione secondo amore e verità, misericordia e giustizia, fedeltà e lealtà.

Il resto dello scritto si trova sul sito.
     [CONTINUA LA LETTURA: www.diakrisis.altervista.org/_Prob/T1-Ponte_ama_vero_UnV.htm ] Solo dopo aver letto l’intero scritto, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute? {Nicola Martella}

mercoledì 14 novembre 2012

Le ragioni della speranza: Fede biblica e credenze agnostiche




LE RAGIONI DELLA SPERANZA
Fede biblica e credenze agnostiche

di Giuseppe Rossi – Nicola Martella

Quando ho letto le bozze di questo articolo, per correggerlo, formattarlo e redigerlo, mi sono venute in mente queste due massime, che riporto nella seguente forma:
     Ateo e cristiano: L’ateo: «Come disse Friedrich Wilhelm Nietzsche: “Dio è morto”». Il cristiano biblico: «Come dice Dio: “Nietzsche è morto”».
     Confessione di un agnostico: «Un agnostico tedesco afferma: “Giulio Cesare è morto. Vladimir Lenin è morto. Karl Marx è morto. Friedrich Wilhelm Nietzsche è morto. Charles Darwin è morto. Johann Wolfgang von Goethe è morto. Johann Christoph Friedrich von Schiller è morto. Sigmund Freud è morto. Albert Einstein è morto. Eugen Berthold Friedrich Brecht è morto. Jean-Paul Sartre è morto. E stamani neanche io mi sento proprio così bene!”».

Giuseppe Rossi è un farmacista napoletano, che lavora a Roma. Dopo la sua conversione a Cristo, si interessa particolarmente delle questioni apologetiche legate all’ateismo, allo gnosticismo, all’evoluzionismo e alle ideologie di varia matrice. La struttura del suo scritto è redazionale. {Nicola Martella}

1. ENTRIAMO IN TEMA (Giuseppe Rossi): Perché esistiamo? Che senso ha la vita? A queste domande ricorrenti, molti ne aggiungerebbero un’altra: possiamo sperare in qualcosa di più che vivere soltanto 70 o 80 anni e poi morire? (Salmo 90,9). Forse in nessun altro momento ci poniamo queste domande con maggior insistenza, se non quando avvertiamo quanto sia breve la vita. Ma non ce bisogno d’arrivare a una situazione estrema per chiedersi come mai esistiamo? La domanda può sorgere anche quando la vita ci delude. Il desiderio di capire perché esistiamo trascende le differenze scolastiche, culturali e d’età. E l’interrogativo ricorrente sul senso dell’esistenza accomuna gli uomini di tutte le epoche.
     Negli ultimi anni diversi scienziati sono giunti alla conclusione che, in effetti, l’uomo è portato per natura a cercare un significato più profondo nella vita attraverso le varie teorie scientifiche e fantascientifiche, filosofiche e religiose. Secondo alcuni esistono prove genetiche e fisiologiche indicanti che l’uomo sente il bisogno naturale di stabilire un rapporto con una forza superiore. Comunque anche se il concetto di spiritualità viene dibattuto negli ambienti accademici, la maggioranza della gente non ha bisogno del consenso scientifico per credere che l’uomo provi un bisogno spirituale. È la spiritualità stimolata dalla sofferenza che fa sorgere nella nostra mente quelle che alcuni ritengono le domande più importanti: perché esistiamo? Come dovremo impiegare la nostra vita? Dobbiamo rendere conto a un entità creatrice onnipotente? Appurato quindi oggettivamente che abbiamo un’esigenza di trascendenza, che nasce dall’inquietudine di vivere in questa realtà pericolosa e difficile, l’ultima domanda sorge spontanea: Chi o che cosa ci appaga e ci realizza con dignità?
     Anche la Bibbia parla di persone che si chiesero quale fosse lo scopo della loro vita, dopo aver perso beni materiali e spirituali. In effetti la sofferenza sembra essere il bivio della vita. Essa può essere il motore (come lo fu anche l’insoddisfazione d’Adamo prima d’Eva) o può essere l’ostacolo che impedisce di dare un significato al tutto. Il dolore, se accettato come mezzo per far crollare i pregiudizi derivanti dalla nostra presunzione e come stimolo per cercare di comprendere con obiettività noi stessi, il prossimo e l’Assolutamente Altro, ci può cambiare radicalmente, facendoci vivere una quasi pienezza e dignità inaspettate, e con delle prospettive future inattese. Anche la pienezza è possibile, ma questa a un analisi approfondita e completa di fatti personali e comunitari, storici e attuali, sembra confinata solo nell’esperienza cristiana; e in tale ambito le coordinate consequenziali (quelle essenziali ci sono offerte dalla testimonianza biblica) dell’insegnamento biblico mediante la cattedra dello Spirito Santo sembrano offrire quanto di più risolutivo ci possa essere: grazie al duale e inscindibile uso di fede e ragione.
     «Non troverai mai la verità, se non sei disposto ad accettare anche ciò, che non t’aspettavi» (Eraclito).

Sul sito sono presenti inoltre i seguenti punti: 2. Le variegate posizioni di atei e agnostici; 3. Un rifugio d’età in età; 4. Aspetti conclusivi.
     [CONTINUA LA LETTURA: http://puntoacroce.altervista.org/_Cul/A2-Ragioni_speranza_Esc.htm ] Solo dopo aver letto l’intero scritto, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute? {Nicola Martella}


sabato 10 novembre 2012

Santa ignoranza




SANTA IGNORANZA

1. Come i bambini, ma in che cosa?
     Alcuni credenti coltivano il campicello della «santa ignoranza» e credono in esso di trovarne beatitudine. Perciò, citano all’occasione (e fuori contesto) versi, in cui Gesù parlò dell’essere come i bambini, ad esempio: «Se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3). «Chiunque non accoglierà il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà affatto» (Lc 18,17). Si noti che qui si parla di come entrare nel regno, ossia senza essere prevenuti e con semplicità, come farebbero i bambini. Non si parla qui di come vivere nel regno di Dio, una volta entrati!
     Tali credenti confondono l’assenza di malizia dei bambini con l’assenza di conoscenza biblica. L’apostolo Paolo, scrivendo ai Corinzi, che si vantavano e facevano sfoggio di carismi spettacolari, sebbene marginali e poco edificanti, disse loro: «Fratelli, non siate bambini quanto al senno; siate pur bambini quanto a malizia, ma quanto al senno, siate uomini maturi» (1 Cor 14,20.

2. Non bisogna essere sapienti?
     Se non bastasse, essi citano prontamente 1 Corinzi 1,26s: «Infatti, fratelli, guardate la vostra vocazione; non ci sono tra di voi molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti nobili; ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i sapienti».
     Che rispondere a tali credenti? Fanno proprio male a strumentalizzare tale brano, poiché esso parla di «sapienti secondo la carne», ossia che filtrano la realtà con la loro conoscenza mondana, non soggetta al timor di Dio. Alla fine di tale brano, Paolo affermò che «Cristo Gesù… ci è stato fatto da Dio sapienza» (v. 30), ossia il principio ordinatore della conoscenza del cristiano. Non si tratta quindi del principio: «Beata la santa ignoranza», ma di quest’altro: «Beata la corretta conoscenza in Cristo» (cfr. Eb 1,1s).

Il resto dello scritto si trova sul sito.
     [CONTINUA LA LETTURA: www.diakrisis.altervista.org/_Disc/A1-Santa_ignoranza_Avv.htm ] Solo dopo aver letto l’intero scritto, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute? {Nicola Martella}

 

venerdì 9 novembre 2012

Io ho fatto loro conoscere il tuo nome (Giovanni 17,26)




IO HO FATTO LORO CONOSCERE IL TUO NOME (GIOVANNI 17,26)

Un lettore mi ha scritto quanto segue: […] Molti anni fa m’ero associato a una chiesa evangelica cristiana, poi l’abbandonai per mia volontà; fui battezzato, ma credo d’essere rimasto il peccatore di sempre, anche se non passa giorno che io non legga la Bibbia. E non so perché ma, avendo una discreta preparazione biblica, incontro i TdG [= Testimoni di Geova, N.d.R.] anche a casa, ma solo per combatterli; anche se so che perdo tempo, mi piace e mi diletto a leggere la Bibbia, è più forte di me, anche se molte cose non le comprendo.
     Desideravo chiederti un chiarimento sulle parole di Gesù, quando dice: «Padre, ti ringrazio, d’aver fatto conoscere loro il tuo nome…». La mia domanda è: quando gli fece conoscere il nome del Padre? e quale nome? Nell’attesa, porgo i miei più sentiti saluti. {R.G. P.}

Ad aspetti rilevanti di tali questioni rispondo come segue: Rispondo in sintesi e cercando di essere non troppo tecnico. Mi preme cominciare con una premessa per il lettore: Non basta leggere la Bibbia, aumentare nella conoscenza e combattere le false dottrine di un gruppo particolare (sebbene queste attività siano cose nobili), ma bisogna essere rigenerati dal Signore e compiere la sua volontà. Ora, andiamo alla questione centrale.
     Il problema principale consiste nel fatto che l’ebraico con ha un termine per «persona», che proviene dal latino. Tale concetto lo esprime con due termini particolari: «nome» (šem) e «anima» (nëfëš). Gesù intendeva far conoscere ai suoi discepoli la persona del Padre, non un nome anagrafico. Bisogna tener presente, infatti, che da molti secoli gli Ebrei non pronunciavano più il nome «Jahwè», ma leggevano il cosiddetto tetragramma come «Adonaj» (Signore). Quando l’AT fu tradotto in greco, non ci furono problemi teologici per tradurlo come Kyrios «Signore». Tutti i nomi di Dio furono tradotti in greco; ricordo che nell’antichità non c’era una differenza fra nomi, titoli e addirittura soprannomi. Fu perciò che gli scrittori del NT citarono l’AT nella versione greca della «Settanta». Gesù da buon Giudeo del suo tempo non citava mai il nome ebraico nei suoi discorsi e nelle sue preghiere, ma usava il termine Adonaj.
     In tutti gli Evangeli, che sono in greco, non ricorre mai il nome «Jahwè» (o simile) per indicare Dio e per rivolgersi a Lui in preghiera, né Dio lo usò mai per sé. Non si trova mai un brano, in cui Gesù insegnò a usare un certo nome di Dio; lo stesso vale per il resto del NT. Nella preghiera modello Gesù rivelò il massimo privilegio dei suoi seguaci: rivolgersi a Dio come «Padre nostro»! […]

Sul sito segue il resto dell’articolo.
     [CONTINUA LA LETTURA: http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/A1-Conoscere_tuo_nome_EdF.htm ] Solo dopo aver letto l’intero scritto, voi che rispondereste nel merito alle questioni in esso contenute? {Nicola Martella}

 

martedì 6 novembre 2012

Sfide che ti cambiano la vita



SFIDE CHE TI CAMBIANO LA VITA

«Molte delle cose, in cui eccelliamo, sono sorte perché abbiamo incontrato individui, che ci hanno contrastati, provocati o costretti a fare ciò, che sappiamo fare. Poi, ci abbiamo preso gusto, e ciò ci ha motivati a proseguire» (Nicola Martella; fonte: Sfide).

1. La sfida che ti cambia
     Ci sono sfide, che ti rendono interiormente libero. Esse ti fanno rendere conto di ciò che sei veramente, ciò che sei in grado di fare e ciò che puoi diventare. Esse ti danno un’identità, che prima non credevi di avere. Da ciò nasce la tua chiamata, e ti senti improvvisamente libero, anche libero di prendere su di te responsabilità e sacrifici, costi quel che costi, indipendentemente da ciò che dicono gli altri. Per il credente biblico diventa la sfida della fede. Sai che devi andare in tale direzione, devi raggiungere la meta, magari scalando montagne o nuotando controcorrente. Ne hai la convinzione interiore e senti una santa chiamata ad accettare tale sfida. La sfida ti ha mutato, per sempre.

2. La nascita di prodi e di eroi
     È difficile immaginarsi Sansone, uno degli eroi nazionali degli Israeliti, senza i Filistei. Anche altri giudici d’Israele compirono atti eroici, dettati dall’estrema necessità, in cui essi stessi e il popolo si trovavano. È altresì difficile pensare all’eroismo di Davide, futuro re d’Israele, senza un temibile avversario come Goliat. Anche Giuseppe, figlio di Giacobbe, che appariva ai suoi fratelli come un fanfarone e figlio di papà, solo attraverso tutte le tristi vicissitudini, che fu costretto a sperimentare (schiavo, accusato ingiustamente, carcerato), poté diventare un uomo talmente saggio e capace da poter essere il viceré dell’Egitto. La lista potrebbe continuare.
     Anche per Saulo da Tarso, il momento della sua più grande umiliazione (fu disarcionato da Gesù sulla via di Damasco, dove intendeva fare una strage di cristiani), rappresentò l’inizio di una nuova vocazione, carriera e ministero: quella di Paolo, l’apostolo delle genti al servizio di Cristo. Egli stesso, ricordando il suo passato curriculum di tutto rispetto, confessò ai credenti di Filippo: «Ma ciò che per me era un guadagno, l’ho considerato come un danno, a causa di Cristo. Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo» (Fil 3,7s).
     Questi sono soltanto alcuni esempi, che illustrano come la necessità, il contrasto e le circostanze avverse rendono intrepidi: fanno prendere coraggiose decisioni, fanno sprigionare grandi energie in chi è tenace e creano persone speciali, se non eroi. Quando poi nasce la vocazione

Il resto dello scritto si trova sul sito.
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lunedì 5 novembre 2012

Dio parla al cuore e non alla mente? Parliamone




DIO PARLA AL CUORE E NON ALLA MENTE? PARLIAMONE

È suggestiva l’immagine del cuore con un buco della serratura e che è accompagnata dalla tesi «Dio non parla alla mente, ma al cuore». L’autore pensava certo di essere originale e di affermare una grande verità. Tutto ciò è però fuorviante e fa acqua da tutte le parti, biblicamente parlando. Perché Dio non dovrebbe voler parlare alla mente? Rimane un mistero spiritualista.
     Ci siamo altresì chiesti: Come vengono usati i termini «cuore» e «mente» nella Bibbia? Analizzando la Scrittura, quale il quadro antropologico di riferimento ne scaturisce? Abbiamo visto che la stragrande maggioranza delle cose, che oggigiorno noi attribuiamo alla mente, nella Bibbia vengono considerate attività del cuore. Infatti, per gli Ebrei il «cuore» era la mente.
     Con tale questione abbiamo voluto mostrare come la concezione odierna delle cose possa influire sull’interpretazione della Scrittura, che diventa abnorme, quando si riempiono i termini della Bibbia (qui «cuore») con significati differenti da quelli originali. Infatti, una cosa è se il cuore è la sede della ragione e del pensiero, altra cosa se è la sede delle emozioni e dei sentimenti. Ebbene la sede di questi ultimi è nella Bibbia le viscere e l’anima.
     Dopo una lunga analisi biblica probatoria, abbiamo dimostrato che è sbagliata la seguente tesi: «Dio parla al cuore e non alla mente». Che il Signore abbia sentimenti, è fuori dubbio, ma una tale tesi lo rende un «Dio sentimentalista», che è ben altra cosa.
     Abbiamo visto che, in modo corretto, si sarebbe dovuto affermare: «Dio non parla soltanto al tuo intelletto, ma anche al tuo intimo, alla tua coscienza, ai tuoi sentimenti».
     Tali questioni le abbiamo rappresentate nell’articolo «Dio parla al cuore e non alla mente?». Qui di seguito diamo occasione per discuterle nel merito.

Sul sito seguono i contributi dei lettori e le mie eventuali osservazioni…
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sabato 3 novembre 2012

Dio parla al cuore e non alla mente?



DIO PARLA AL CUORE E NON ALLA MENTE?

1. ENTRIAMO IN TEMA: Quando si parla delle attitudini interiori dell’uomo, si possono distinguere due entità: la ragione dal sentimento, la mente dalla sensazione, il calcolo dall’intuizione, e così via. Come queste due grandezze vengano chiamate, varia nel tempo, da cultura a cultura, da lingua a lingua. Spesso ci sono termini differenti per la stessa cosa, a seconda dell’angolazione con cui la si osserva.
     Le stesse problematiche le troviamo anche nella Bibbia, essendo un libro scritto i circa 1.500 anni. Gli Ebrei furono un popolo abbastanza in movimento. I personaggi principali partirono da Ur di Caldea (nell’attuale Iraq), approdarono nella zona geografica siro-palestinese (o Canaan), andarono in Egitto e tornarono in Canaan centinaia di anni dopo. Circa 700 anni dopo, Israele fu condotto in Assiria (nord Iraq); più di un secolo dopo, Giuda fu deportato a Babilonia (sud Iraq) e da qui in Persia (attuale Iran) e un’altra in Egitto. Alcuni tornarono in patria, settant’anni dopo, mentre molti si dispersero nel mondo d’allora. In tutti questi spostamenti e in tutti questi paesi impararono lingue differenti e concezioni diverse, che arricchirono la loro lingua e cultura. Ciò vale anche per l’antropologia o concezione dell’uomo e del modo di chiamare le singole parti dell’uomo interiore. Oltre a ciò vediamo che l’AT è stato scritto in ebraico e in parte in aramaico, ma contiene anche termini di altre lingue (p.es. «paradiso» per «giardino regale»); mentre il NT è scritto in greco e contiene vari termini aramaici e latini.
     Useremo questa questione per mostrare qualche regola di ermeneutica, ossia della corretta interpretazione della sacra Scrittura. Infatti, oggigiorno è grande la tendenza a partire non dalla Bibbia stessa e dal suo proprio linguaggio, ma dal consenso culturale odierno, per poi proiettare ciò nella Scrittura e affermare spavaldamente tesi approssimative o addirittura false, proprio strumentalizzando la Parola di Dio. Così facendo, si arriva, ad esempio, alla tesi spiritualista, che va in giro per le chiese e per il Web, secondo cui Dio non parlerebbe alla mente, ma al cuore.
     Per i nostri contemporanei «cuore» sta generalmente per il luogo dei sentimenti, mentre per «mente» si intende la sede dei pensieri e dell’essere intellettuale. Ella simbologia corrente il simbolo del cuore sta per amare, mentre il cervello per pensare. Anche per i dizionari italiani, che fotografano il senso comune, per mente si intende «l’insieme delle facoltà e attività psichiche dell’uomo, spec. quelle razionali e intellettive, in opposizione al corpo o al cuore come sede dei sentimenti» (Sabatini - Coletti).
     Qui viene condensata la concezione corrente; ma come vengono usati tali termini nella Bibbia? Qual è il quadro antropologico di riferimento, che scaturisce da un’analisi biblica? È ciò che cercheremo di presentare nei prossimi punti.

Sul sito sono presenti inoltre i seguenti punti: 2. Analisi biblica; 3. Aspetti conclusivi..
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ATTENZIONE! Per favore, non intervenire se, dopo aver letto l’intero articolo sul sito, ti rendi conto che ti manca la necessaria competenza in merito!